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LETTERA APERTA

20 Agosto 2025

Volevo fare il medico veterinario da piccola. Pensavo che avrei curato solo gli animali, i miei unici interlocutori sarebbero stati loro. Avrei imparato il loro linguaggio come il dottor Dolittle.
La sera sarei andata a dormire nella pienezza del mio operato…. Poi è arrivata la realtà lavorativa e da quel momento molte crisi professionali hanno interrotto il mio percorso. Ne sono sempre uscita rinnovata, con un piccolo pezzo in più. Eppure non posso smettere di pensare al fatto che non ho capito assolutamente nulla. Per questo tengo sulla mia scrivania una targa provocatoria
“I have not idea what I’m doing ”.

Qualche idea di base nel tempo ha trovato fondamenta nella mia pratica medica. Non ho la pretesa di affermare che siano tutte idee corrette, ma sono quelle che mi pacificano di più.
Per esempio ho capito che noi medici siamo un mezzo e non il fine. Possiamo aiutare il paziente ad uscire dal suo stato di malessere ma non facciamo nulla di più, ne tanto meno il farmaco che decidiamo di somministrare è il super potere della storia. Il vero super eroe è la natura e la sua infinita e misteriosa capacità di trovare nuove omeostasi.
Traslando il pensiero di Winnicot la nostra terapia dovrebbe essere sufficientemente buona per stimolare la guarigione del soggetto. Non può e per fortuna non è mai completa, ed in quello scarto per la perfezione c’è invece un organismo perfetto che reagisce a quello stimolo mettendoci del suo. Quella risposta sarà unica ed irripetibile, e noi abbiamo anche il privilegio di poterla osservare.
Non si può fare una terapia senza prendere in considerazione tutto ciò che c’è intorno a quella malattia.. il tutto è più della somma delle singole parti… cosi diceva Aristotele. Credo che si sia tenuto molto basso. Perché nel dettaglio le singole parti sono anche loro molto più complesse e distanti dalla somma delle loro singole parti in processo all’infinito che ci da solo l’idea che il tutto e solo qualcosa di molto vicino a ciò che definiamo un miracolo. Quel cane o gatto o cavallo che mi capita di visitare è unico ed irripetibile, ed è inserito all’interno di un sistema familiare unico ed irripetibile. Dietro ognuno di loro c’è una storia che sentirò con quelle caratteristiche una sola volta. Per quella persona ci sarà solo quel cane e per quel cane esisterà solo quella persona. Quindi come si può pretendere di averci capito qualcosa?

La pratica veterinaria ha due grandi interlocutori il paziente non umano ed il suo umano di compagnia. A me piace molto il primo, ma con il tempo ho imparato ad affezionarmi anche al secondo. Di fatto ho capito che se non lo prendo in considerazione la terapia è praticamente inutile. Sarebbe un po' come ignorare la malattia stessa, c’è esiste… a qualcosa servirà.

Prima di chiedere la guarigione ad un paziente chiedigli se è disposto a rinunciare a tutte quelle cause che lo hanno fatto ammalare….

Ora le cause che l hanno fatto ammalare, escluse la grande categoria congenita (ed anche su quella mantengo grandi dubbi), derivano dal tipo di gestione che all’animale viene accordato dai suoi proprietari. Quindi se non si mettono in gioco anche loro… ma che razza di terapia si potrà mai fare???
L’unica idea che mi sembra salvifica è che le terapie in questo incontro dovrebbero essere multimodali proprio perché svariati sono i fattori che entrano in gioco nel generarla.

Spesso scegliamo di far entrare nel nostro sistema familiare degli animali per soddisfare dei nostri bisogni personali. Ma quanto questi sono riconosciuti ed esplicitati? E quanto possiamo permetterci di parlarne, di fare la nostra parte? Nella mia pratica molto poco. In più la categoria veterinaria è poco allenata a saper rispondere a tutte queste domande. Studiamo per molti anni solo gli animali, ed alla fine della fiera ci ritroviamo a dialogare con l’animale umano. Questo può generare frustrazione, in me l’ha generata spesso e la genera ciclicamente. Ma penso che potrebbe anche essere un’opportunità. Penso e intravedo una possibilità di crescita per tutti.

Mi capita quotidianamente di avere cani con la stessa e identica patologia dei proprietari. Di sentire storie fantastiche su gatti che assorbono sistemi familiari alterati ed inscenano poi atteggiamenti scientificamente inspiegabili. Si buttano dai balconi, si ammalano di colpo ed in modo incurabile, Non frequentano più determinate stanze della casa. Malattie misteriose fisiche o comportamentali senza apparente spiegazione … con evoluzioni impensabili.
Ma cosa ci stanno comunicando? Che senso ha prendere un animale e farlo entrare nel nostro sistema familiare ? mi sembra che alcune volte si rendano quasi attori di un qualcosa, che manifestino ciò che noi non riusciamo a raccontarci… quello che ci rifiutiamo di vedere.

Dott.ssa Parisi

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